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Cos’è (e cosa vuol dire) Startup? Una spiegazione semplice

Startup, presa così, “nuda”, è una parola che dà il senso di qualcosa che difficilmente, all’inizio, possiamo toccare. Pensate che negli Stati Uniti si dice proprio “startup something” quando solitamente si inizia a fare qualcosa. Ad ogni modo partiamo dalle basi. Una startup è un’impresa, di nome e di fatto.

Come si scrive, startup, start up o start-up? Riguardo la forma, per i puristi è una parola che dovrebbe essere scritta col trattino (start-up), per altri ancora andrebbe scritta separata (start up). Pare che scriverla “startup”, come stiamo facendo noi, sia un’interpretazione tecnicamente “volgarizzata”. Ma d’altra parte se la nostra missione è spiegare le cose difficili con parole semplici allora sì: saremo volgari (e onesti). 😉

Cos’è una startup?

Una startup è una nuova azienda (in Italia la chiamiamo “impresa innovativa“, ed ha anche un suo regime giuridico particolare) fondata da uno o più aspiranti imprenditori che ritengono di poter dare una risposta (offerta commerciale) che risolve un problema (domanda di prodotto o servizio). Una startup di successo in genere vuole risolvere un problema con ingegnosità e semplicità, rendendo il mondo un posto migliore. 

Tecnicamente parlando, una startup è definibile come un’azienda (appena costituita o addirittura che sta per esserlo) che mira a soddisfare le esigenze o una lacuna in un mercato rilevante offrendo un prodotto, processo o servizio innovativo. E che in ragione di ciò cresce (dovrebbe crescere) rapidamente.

Adriano Olivetti
Adriano Olivetti

Chi ha “inventato” le startup?

Si inizia a parlare di startup negli Usa, in una zona geografica particolare ovvero la cosiddetta “Silicon Valley”, in California, intorno alla fine degli anni Settanta, laddove venivano fondate le prime aziende tecnologiche ed informatiche. Ma il termine “startup” divenne popolare al grande pubblico più o meno alla fine degli anni Novanta, in concomitanza con la famosa “bolla di Internet” (nota anche come “crisi delle Dotcom“, dove dotcom sta per “.com” richiamando neanche molto metaforicamente ai siti web).

La tecnologia, appunto, Internet. A quei tempi con Startup si identificava un’azienda di nuova costituzione con un potenziale di crescita esponenziale. Ciò significava che, affinché questo potenziale di crescita fosse possibile, reazzabile, ci si riferiva alle nuove tecnologie e – dagli anni ’90 – anche a Internet come fattori abilitanti per la crescita di queste aziende sul mercato. Tant’è che le startup erano conosciute come “Internet company” o più in generale “startup tecnologiche”, e come tali ad onor del vero più che il termine “startup” è ancora principalmente utilizzato quello di “startup tecnologica”.

Per capirci: aziende come Microsoft, Apple, Google, Amazon, Facebook, Tesla, sono state startup all’inizio. Ma anche in altri mercati non tecnologici, grandi realtà che oggi sono multinazionali come la Ford, McDonald’s, le italiane Ferrero e Luxottica, per diversi aspetti sarebbero rientrate nella definizione di startup.

Startup fa sempre rima con soldi

Forse la definizione più popolare di startup è di Eric Ries, il creatore della metodologia Lean Startup: “Una startup è un’istituzione umana progettata per creare un nuovo prodotto o servizio in condizioni di estrema incertezza”.

Per sua natura, una startup tende ad essere sgangherata e squattrinata, finanziata inizialmente dagli stessi fondatori con l’aiuto della famiglia e degli amici. Infatti, se davvero stiamo parlando di un’idea che può sconvolgere il mercato e non solo rispondere ad una potenziale domanda ma addirittura “crearla”, una delle prime missioni della startup è riuscire raccogliere un’importante quantità di denaro per sviluppare ulteriormente e il più velocemente possibile il prodotto/prototipo. 

Nelle fasi iniziali, le startup hanno entrate scarse o nulle. Hanno un’idea che devono sviluppare, testare e commercializzare. Le fonti di finanziamento tradizionali includono prestiti bancari e finanziamenti pubblico-governativi. Ma la via “principale” di finanziamento, quella solitamente determinante per la crescita di una startup, è rappresentata da soldi “privati” che arrivano dagli investitori (singoli signori danarosi o fondi di investimento). Investire, mettere dei soldi in imprese che, in quanto molto giovani, non possono presentare una loro “storia” o comunque generare profitti interessanti è un’operazione rischiosa poiché un’altra parola che fa rima con startup è “fallimento”. (Sì, prendiamo nota: “venture capital” è una parola che merita una voce tutta per sé nel nostro dizionario spiegato. Sarà fatto!).

“Le startup ci ruberanno il lavoro?”

Non è questa la sede per approfondire analiticamente l’impatto delle startup sul mondo del lavoro. Sicuramente, parallelamente al progresso (non solo tecnologico) dell’umanità molti lavori sono stati aggiornati e sostituiti da altri. Ad oggi possiamo dire che oggi la maggior parte dei nuovi posti di lavoro (lavori – e stipendi – che altrimenti non esisterebbero) sono creati dalle startup, in quanto aziende che per loro natura riescono ad attrarre talenti e investimenti da tutto il mondo. 

Secondo la Kauffman Foundation, negli ultimi venticinque anni, quasi tutti i posti di lavoro nel settore privato sono stati creati da imprese innovative. Va però anche detto che, tra il 1988 e il 2011, finita la fase di “startup” ovvero dei primi cinque anni di attività, quelle stesse aziende sarebbero finite col “distruggere” complessivamente più posti di lavoro di quanti ne avevano creati.

Il dizionario delle startup

Come ogni ecosistema, anche e soprattutto quello delle startup ha un suo gergo, fatto di parole di origine anglosassone. Founder, disruptive, seed, venture capital, private equity, angel investor, round (a loro volta classificati in serie: A, B, C, eccetera), exit, MVP, pitch, acceleratore, incubatore, business model, unicorno, giusto per citarne alcune. Un vero e proprio mondo che merita molte spiegazioni. Ed una lettura il più possibile onesta. Proveremo a soddisfare questa necessità.

 


Ogni momento nella storia del business accade una volta. Il prossimo Bill Gates non costruirà un sistema operativo. I prossimi Larry Page o Sergey Brin non faranno un motore di ricerca. E il prossimo Mark Zuckerberg non realizzerà un social network. Se stai copiando queste persone non hai capito nulla di loro.
(Peter Thiel, dal libro “Da zero a uno”)


 

Un video dalla nostra Newsroom

 

Questa voce del Dizionario spiegato è stata scritta da Leonardo, l’intelligenza non artificiale di Italia2030.

 


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